Antichi mestieri in Toscana: il bigonaio

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Chi era il bigonaio?

Era un artigiano che costruiva i barili e i bigoni (recipienti di legno di forma troncoconica usati nella vendemmia). Nei mesi estivi si recava alcuni giorni nelle foreste per scegliere gli alberi da tagliare e ricavare le doghe di legno da modellare nella sua bottega.

 

Questo antico mestiere era molto presente nelle Foreste Casentinesi, in particolar modo a Moggiona, un piccolo paese sul versante toscano a pochi chilometri da Camaldoli.

 

Per secoli il paese di Moggiona è stato caratterizzato dal mestiere del bigonaio. Alla metà del secolo scorso nel paese erano ancora attive 25 botteghe di bigonai.

La materia prima la forniva l’abetina dell’Eremo di Camaldoli. I bigonai di Moggiona, ottenuto il permesso dalla Forestale, nel mese di luglio si trasferivano nelle macchie dell’Eremo e della Lama e abbattevano, a colpi d’accetta, i tre abeti assegnati a ciascuno di loro.

Lì, sul posto, segavano il tronco dell’abete dividendolo in più “rocchi” cilindrici della giusta lunghezza, e poi suddividevano questi più volte fino a giungere alla “doga”.

Rimanevano nella foresta tutta la settimana, dormendo in capanne triangolari da loro stessi realizzate con i rami degli abeti tagliati. Erano le mogli ad intraprendere il lungo viaggio ogni giorno con la “miccia”, il somaro, portando di che mangiare agli uomini, e riportando in paese un carico di doghe legate sull’asino.

Le doghe venivano poi “accarellate” in alte pile sparse per tutto il paese, là dove c’era un po’ di spazio. Iniziava quindi il lavoro di “bottega”. Le doghe venivano “commesse” l’una accanto all’altra, dopo essere state piallate ad una ad una, fino a costituire il bigone.

Quindi si realizzavano i “cerchi” che avrebbero tenuto assieme le doghe. Per i “cerchi” era necessaria la “palina” di castagno, i polloni, che venivano tenuti a bagno in apposite “pozze” affinché non perdessero di elasticità, fino al momento dell’uso. La palina, “sfogliata”, portava a 3 o 4 listelli, che sapientemente piegati e “inchiavati” costituivano ognuno un cerchio della giusta misura. Erano i “cerchi” che, a lavoro finito, tenevano insieme le doghe del bigone.

L’utilizzo del bigone era strettamente legato alla vendemmia. I bigoni, caricati nei carri o nelle “tregge”, venivano portati nella vigna, vi si metteva l’uva appena tagliata e la si “pigiava” con un grosso sasso, o con un legno a forma di clava, in modo che iniziasse subito la fermentazione del mosto.

La vendita dei rinomati bigoni di Moggiona avveniva alle fiere e ai mercati, in settembre, quando ai contadini di fondovalle servivano bigoni per la vendemmia.

Negli ultimi decenni il mestiere del bigonaio è andato scomparendo a causa dell’avvento della plastica che ha ridotto drasticamente la richiesta dei bigoni in legno.

 

Moggiona non ha voluto dimenticare generazioni e generazioni dei suoi bigonai, e a questo scopo è stata allestita una “bottega del bigonaio”, dove sono raccolti attrezzi tipici, produzione storica e documentazione fotografica, e dove è possibile vedere gli ultimi maestri-bigonai al lavoro.

 

Articolo tratto da www.parcoforestecasentinesi.it >> leggi

Guarda il video "I bigonai di Moggiona" ►►

 

Guarda il video sulla costruzione di un bigone ►►




 

Pubblicato il:
26.03.2021
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